lunedì 31 gennaio 2011

Un progetto, un programma, una presenza.

Graziella Giorgi

1. La scuola oggi.

Chi lavora nella scuola e chi vive la realtà scolastica nel suo quotidiano fluire - siano essi insegnanti, precari e non, personale di segreteria, addetti ai laboratori, collaboratori scolastici e operatori socio-culturali, studenti e loro famiglie - percepisce un clima grigio di scoramento nel quale è facile affondare come in sabbie mobili, alternando momenti di disperata ribellione a stati di inerzia e apatica rinuncia.
Il senso di frustrazione di chi non vede riconosciuta la dignità del delicato e impegnativo lavoro professionale di chi opera nella costruzione del difficile percorso della formazione educativa e culturale delle giovani generazioni si combina alla mancanza di prospettive di queste ultime, che si pongono quotidianamente la domanda “Perché studiare?”.
Domanda che forse tutti gli studenti si sono sempre posti ma che oggi, di fronte all’incremento della disoccupazione giovanile che nel nostro Paese, ( secondo gli ultimi rilevi ISTAT ha raggiunto ormai la soglia del 29% e in alcune realtà del Mezzogiorno come Napoli il 40%), alla precarizzazione del lavoro, alla presentazione di modelli di successo sociale superficiali e consumistici, alla frantumazione della solidarietà sociale a favore di uno sfrenato individualismo assume una drammatica rilevanza.
A tale domanda faticano a trovare una risposta convincente le famiglie e gli insegnanti.
Ma trovare una risposta a tale domanda diventa per tutti noi drammaticamente urgente perché questi cupi segnali di sconforto che attraversano la scuola sono lo specchio di uno sbandamento di tutta la società civile e in particolare delle giovani generazioni.

I problemi che attraversano i nostri tempi emergono nella scuola, magari in maniera indiretta, ma con la particolare enfasi legata alle aspettative che vengono messe in campo quando è in gioco il futuro dei “nostri figli e nipoti”, quando le esigenze dei singoli diventano anche quelle della collettività.
Nella scuola diviene evidente il disagio vissuto nelle famiglie quando il nucleo si disgrega, quando vi sono casi di disabilità, di malattia, di emarginazione socio-culturale, di difficoltà economiche.
Alla scuola, a fronte dell’incapacità delle politiche del Governo Berlusconi di trovare risposte alla specificità dei problemi e a alla mancanza di un disegno politico complessivo diretto alla formazione dei giovani (che non sia il modello dei talkshow alla Maria De Filippi o del Grande Fratello) , si sono richiesti in modo sempre più disorganico e con palese intento propagandistico interventi tampone di vario genere e natura a ultimo baluardo dei diritti dei bambini , a compensazione delle carenze educative delle famiglie e delle difficoltà della rete dei servizi sociali, scaricando poi su di essa, depauperata progressivamente di risorse umane ed economiche, i fallimenti di un modello socio-economico di relazioni costruito negli ultimi decenni dalla destra.
Si chiede alla scuola di essere un luogo “sicuro” dove lasciare i nostri figli, un luogo dove possa svilupparsi il loro percorso educativo e formativo e un trampolino di lancio nel contesto socio lavorativo, ma si mette in discussione nei fatti un modello didattico basato sulla costruzione di “teste ben fatte” e di relazioni improntate alla ricerca della propria identità nella valorizzazione del confronto, della solidarietà, dell’impegno.

Tante aspettative, anche contraddittorie e non sempre giustificate, si scaricano dunque sulla scuola. Tanti giudizi, spesso superficiali e affrettati, vengono emessi e l’immagine che viene diffusa di sicuro non rispecchia chiaramente la ricchezza della scuola, i suoi limiti ma anche le sue forti potenzialità.
Il Governo Berlusconi con la sua politica ha contribuito a generare questo clima di confusione e a minare l’affidamento della comunità verso la scuola.
Cosa ha prodotto questo clima negativo che aleggia sulla scuola?

La risposta è desumibile dalle politiche scolastiche in cui i tagli assurgono a coerente disegno politico: ripetuti salassi stanno colpendo al cuore la scuola pubblica snaturandola in senso antidemocratico, nozionistico e selettivo.
La strategia del Governo che ha scelto l’intero sistema dell’istruzione , dalla scuola primaria all’Università e alla Ricerca, come un settore dove realizzare una quota significativa dei risparmi per ripianare il deficit di bilancio, in controtendenza con quello cha avviene in altri Paesi europei che, pur nell’esigenza di attuare politiche restrittive della spesa pubblica, non hanno tagliato le risorse a istruzione, ricerca e cultura perché fondamentali per il decollo economico di un Paese, è coerente con lo spirito berlusconiano : è diretta allo smantellamento di un intero modello educativo e culturale fondato sui principi costituzionali che hanno istituito il nostro sistema di istruzione pubblica che intende coniugare inclusione e merito, formare cittadini responsabili e lavoratori consapevoli e attivi.
Le cosidette razionalizzazioni delle risorse, i tagli delle dotazioni di personale, di attrezzature, di progettualità didattiche delineano una scuola pubblica con standard educativi minimi per la massa dei cittadini destinati a ricoprire ruoli subalterni, mentre per chi è destinato a ruoli di leadership si prospetta un sistema di scuole e Università private, magari all’estero.
Il progetto è stato costruito gradualmente inserendo le tappe normative di smantellamento dei suoi capisaldi in un contesto di denigrazione del valore della scuola pubblica, dei suoi insegnanti e di tutti i lavoratori della scuola ( troppi, poco qualificati e fannulloni !) nel quadro di un disegno ormai pluridecennale di modificazione del contesto culturale di base della nostra società civile. manipolato dagli input veicolati dalle televisioni di Mediaset e dall’editoria connessa, dove la solidarietà non è più una virtù, dove eguaglianza e diritti sono un fardello che rallenta l’efficienza del sistema economico, dove la cultura è un orpello improduttivo e l’istruzione non è più un bene collettivo, un diritto, ma un servizio a domanda individuale aggiustabile secondo le mutevoli esigenze del mercato e a questo asservito.


I movimenti che, in successione, sono emersi, e che hanno visto il protagonismo, prima degli insegnanti, poi dei genitori e delle famiglie, poi, in maniera rilevantissima, degli studenti, sono una reazione alle scelte gravi del Governo, dimostrano la capacità di leggere quanto sta accadendo, di non rassegnarsi ed anzi di richiedere che non vengano sottratte opportunità, di lavoro, di espressione libera della professionalità, di crescita dei propri figli e, in una parola, che non venga sottratto futuro.
Una grande forza politica deve essere con i movimenti che si sviluppano su un terreno cruciale come il sapere, senza lontananza e trascuratezza nell’iniziativa, e al tempo senza sovrapposizioni, curando in particolare la propria capacità di proposta, in dialogo con le componenti sociali, dandole incisività e leggibilità.
Possiamo fare molto per dare una prospettiva ai bisogni ed alle idee che insegnanti, genitori e studenti hanno espresso e , su questa base, garantire che la protesta si sviluppi in proposta, garantendo una estensione ancora maggiore della volontà di esigere “un’altra scuola, per un’altra Italia”, con il chiaro rifiuto di forme di lotta inaccettabili e sbagliate.

In questi giorni iniziano i festeggiamenti del cento cinquantenario dell’Unità d’Italia e non possiamo fare a meno di pensare a come nell’evoluzione della nostra società civile la scuola abbia giocato un ruolo cruciale: la scuola è una delle istituzioni fondamentali del Paese che ha accompagnato , certamente con grandi luci e ombre irrisolte, la costruzione delle giovani generazioni formandole sotto il profilo umano e professionale.

Il tempo che viviamo è per noi quello di una profonda riforma, istituzionale e sociale, dell’Italia, di un federalismo basato su responsabilità e solidarietà, nel quale la “questione scuola” deve giocare un ruolo importante, di legame fra ordinamento e società.

La nostra visione si orienta a procedere con determinazione nell’attuazione del federalismo, ma un federalismo nella scuola che si basi su punti assolutamente chiari e fermi;
Il primo punto che deve essere chiaro e fermo sono i principi della Costituzione in materia di istruzione: l’istruzione è un diritto costituzionalmente garantito e la scuola è un ordinamento nazionale.
Superare il centralismo dell’immobilità e della burocrazia, per noi, sarà possibile non con più modelli autoritari, uno per territorio, ma costruendo un governo del sistema formativo con standard nazionali, responsabilità di indirizzo delle Regioni e degli EE.LL e un grande sviluppo della rete delle autonomie scolastiche.
Deve essere l’ora di un federalismo che premi la libertà e la partecipazione delle scuole alle comunità.
Ma il quadro disegnato da Berlusconi e Gelmini è, all’opposto, quello di un nuovo centralismo, contro le scuole, oggi, e domani quello di un nuovo autoritarismo ideologico dove la politica possa permettersi di invadere il campo della didattica e dei suoi contenuti.
Dalla scuola di Adro marchiata con il Sole delle Alpi alla ribadita volontà di segregare regionalmente gli insegnanti, un quadro fatto di tagli e controriforme potrebbe presagire e preparare arretramenti gravississimi sui diritti costituzionali e di democrazia.

Il destino di un Paese è il destino dei suoi giovani. Ma quale destino sta preparando questo Governo?


2. La strategia governativa di smantellamento della scuola attuato dal Ministro Gelmini

L'anno scolastico 2009/2010 si è caratterizzato come prima fase di attuazione dell’articolato processo di “riforma” dell’intero sistema di istruzione, a seguito dell’attuazione dell’articolo 64 della legge n. 6 agosto 2008, n. 133, che all’insegna della parola d’ordine di una “migliore qualificazione dei servizi scolastici e di una piena valorizzazione professionale dei docenti” , ha previsto la ristrutturazione complessiva delle scuole di ogni ordine e grado effettuando un taglio strutturale alle risorse alla scuola di otto miliardi e una riduzione del personale docente e ATA fra le 140.000/180.000 unità, realizzando di fatto il più grande licenziamento di massa dell’Italia repubblicana.

L’attacco è partito in modo metodico dal segmento della scuola primaria dove, sulla base delle prescrizioni normative, sono stati adottati regolamenti che hanno portato all’innalzamento del rapporto alunni/docenti e alla previsione di un orario settimanale “normale” pari a 24 ore da affidarsi secondo i disegni ministeriali ad un docente unico di riferimento con attivazioni di classi a 30 e 40 ore solo compatibilmente con le risorse di organico assegnato.
In questo modo si è colpito un modello pedagogico – educativo di qualità, riconosciuto a livello europeo.
Tale modello era improntato su un forte impianto pedagogico dove sia l’organizzazione a modulo che a tempo pieno si strutturano su percorsi didattici elaborati nel team del gruppo degli insegnanti, dove le valorizzazioni delle diverse professionalità e le compresenze sono elemento essenziale per la realizzazione di un progetto educativo di qualità al servizio della formazione del bambino, dove la scuola e la cultura che il territorio esprime creano una positiva sinergia attraverso le esperienze dei laboratori didattici.
Il Ministro Gelmini ha messo in discussione tutto questo proponendo un’ipotesi di scuola dove, dietro a una rassicurante facciata di bon ton d’altri tempi rappresentato dall’icona del grembiulino e dall’insegnante prevalente a supposto contraltare delle complessità delle relazioni parentali e sociali contemporanee, risulta un progetto depauperato di insegnamento caratterizzato dall’ affollamento dei bambini nelle classi (ignorando nei fatti la propagandata esigenza di percorsi educativi sempre più personalizzati per far fronte alla maggiore problematicità dei gruppi classe), dalla riduzione del tempo scuola (tempo liberato?! per cosa? con chi ?..... certamente ignorando quale possa essere l’offerta pedagogica alternativa..forse la tv? forse attività integrative fornite da privati a pagamento per conciliare i tempi lavorativi dei genitori con la riduzione degli orari scolastici?), dall’eliminazione delle compresenze (di cui si ignora ogni valenza educativa) in nome di una miope idea di risparmio del personale, anche a scapito della propagandata esigenza del precoce avvio alla conoscenza della lingua inglese con l’eliminazione di fatto del docente specialista. ( Infatti per l'anno 2010/2011 il piano programmatico di Gelmini e Tremonti prescrive la riduzione di 4.500 posti di "specialisti" sui 9.000 circa loro dedicati. Per coprire il taglio del 50% degli insegnanti specialisti il MIUR ha messo in campo una piano di formazione, che oltre ad essere discutibile sui contenuti e sui metodi, è assolutamente insufficiente rispetto alle reali necessità delle scuole).

Le famiglie hanno rigettato questa proposta richiedendo più tempo scuola con l’unico risultato di essere costretti ad accettare, laddove ancora possibile, un orario lungo “spezzatino” , dove si alternano numerosi insegnanti che cercano di coniugare percorsi educativi e orari cattedra che ignorano qualsiasi progetto educativo Si nega in questo modo la possibilità di attuare una didattica di qualità per tutti e più attenta ai bisogni degli studenti, in particolare di quelli più deboli per condizioni socio familiari, di salute o perché neoimmigrati e si impedisce di fatto la realizzazione di attività laboratoriali o più semplicemente una visita al Museo.

La politica dei tagli si è poi estesa al segmento della scuola secondaria di primo e secondo grado: con riduzioni orarie (per la secondaria di primo grado si è previsto un orario ordinario di 29 ore settimanali) e di personale che hanno impoverito l’offerta formativa soprattutto in alcuni ambiti particolarmente significativi per l’innovazione quali l’insegnamento delle lingue, della tecnologia e delle scienze, le attività di laboratorio.

Per quanto attiene la scuola secondaria di secondo grado l’articolo 64 della legge 133/2008 ha previsto un ulteriore intervento di modifica che prevede la revisione dell’intero sistema a partire dai piani di studio, dai quadri orario, dalle ridefinizione delle classi di concorso in relazione agli insegnamenti generando una radicale modifica del sistema.
Il panorama della scuola superiore cambia nel presente anno scolastico 2010/11, a partire dalle classi prime , con l’attivazione di 6 percorsi liceali (artistico, classico, scientifico – con opzione delle scienze applicate - linguistico, musicale e coreutico, delle scienze umane –con opzione economico-sociale); gli istituti tecnici si distinguono in due settori con undici indirizzi: settore economico (amministrazione, finanza e marketing; turismo) e settore tecnologico (meccanica, meccatronica ed energia; trasporti e logistica; elettronica ed elettrotecnica; informatica e telecomunicazioni; grafica e comunicazione; chimica, materiali e biotecnologie; sistema moda; agraria, agroalimentare e agroindustria; costruzioni, ambiente, territorio); gli istituti professionali si suddividono in due settori con sei indirizzi: settore dei servizi (servizi per l’agricoltura e lo sviluppo rurale, servizi socio-sanitari, servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera, servizi commerciali) e settore industria e artigianato (produzioni artigianali e industriali, manutenzione e assistenza tecnica), ne viene modificata la struttura del percorso (2+2+1) articolata in un quinquennio destinato all’ottenimento di un diploma finale.

Alcune linee della riforma offrono spunti positivi e riprendono temi introdotti dal precedente governo, soprattutto per quanto attiene la formulazione degli obiettivi didattici del biennio declinati in assi culturali, il richiamo a una didattica delle competenze e laboratoriale, l’importanza di costruire percorsi di continuità fra il primo e il secondo grado della scuola secondaria per lottare contro la dispersione e innalzare il livello dei risultati alla luce anche delle criticità emerse dai dati OCSE PISA; ma gli spunti positivi rischiano di essere solo un fiore all’occhiello in una realtà di gestione della scuola e della sua pratica didattica umiliata da una drastica riduzione delle risorse, che non solo non consentono di sostenere un processo innovativo, ma addirittura impoveriscono l’offerta formativa, e dalla mancata valorizzazione delle risorse umane e professionale dei docenti, che anziché vedere riconosciuto il loro ruolo vengono pesantemente umiliati e colpiti dai tagli imposti alla scuola. Il processo di riordino degli indirizzi che si erano stratificati nel tempo , specie per gli istituti professionali e tecnici (questi ultimi passano ad es. da 1.800 suddivisi in 10 settori e 39 indirizzi ad un nuovo quadro costituito da 2 settori e 11 indirizzi) era sicuramente necessario, ma la ridefinizione degli indirizzi è stata operata con criteri che non sempre sembrano aver valutato e apprezzato le esperienze più virtuose sperimentate, né dato il dovuto rilievo alle esigenze del potenziamento dell’area scientifico- tecnologica e artistica. La validità dei percorsi delineati sarà poi da realizzare e verificare sul campo con un investimento adeguato, anche di progettazione didattica in ordine alla nuova articolazione in due bienni e in un ultimo anno più orientato all’accesso al mondo del lavoro, che impone di mettere in gioco le migliori risorse della scuola e del territorio.
Si sono imposte unità orarie di 60 minuti , ipotizzando che un maggior tempo di lezione sia di per sé garanzia di una migliore qualità dell’insegnamento, e per tutti gli indirizzi si sono ridotte le ore di insegnamento portandole a 32 ore settimanali effettive contro le 36 virtuali della durata media di 50 minuti solitamente praticate. In ogni caso, aldilà della valutazione in sé della scelta, appare abbastanza chiaro che il processo è stato gestito con molta attenzione al risparmio, ma con una dubbia considerazione delle esigenze legate all’innovazione didattica sia in termini di individuazione delle discipline fondanti i percorsi didattici, sia per l’impoverimento di quelle risorse, come le ore di laboratorio o le codocenze, che sono più idonee a sostenere percorsi metodologici innovativi e a fronteggiare le esigenze di cura del processo di apprendimento contro la dispersione scolastica (basti pensare al drastico taglio delle ore di informatica negli istituti tecnici commerciali e alle ore dei laboratori d’arte nei licei artistici).

Si è prevista un’articolazione dei percorsi didattici individuando un’area di istruzione generale ( che sostituisce quella previgente di “area comune”), che dovrebbe essere centrata sugli assi culturali che caratterizzano l’obbligo di istruzione e le aree di indirizzo che si sviluppano poi a pieno regime nel triennio.
Ma l’ipotesi di scuola che era sottesa alla filosofia della didattica degli assi culturali era legata alla costruzione di un nuovo obbligo scolastico basato sulla costruzione di un biennio unitario formativo e orientativo, che proponeva un modello didattico che intendeva sfuggire dalle rigidità delle diverse discipline, garantire un bagaglio di conoscenze e competenze condiviso in tutti i percorsi, il cui consolidamento e la curvatura più specialistica doveva poi seguire all’individuazione dell’indirizzo, in una prospettiva di intercambiabilità delle scelte. Ma il sistema appare oggi in sé contradditorio, poiché al contrario le linee della riforma Gelmini evidenziano una scelta precoce dei diversi percorsi che, poiché di fatto risultano già nettamente differenziati fin dal primo anno, difficilmente potranno dare adito a passerelle verso diversi indirizzi, determinando in via sempre più anticipata il destino scolastico e professionale dei giovani non in base a un percorso di autovalutazione delle proprie capacità e attitudini ma in base alla provenienza socio-familiare . La maggiore rigidità del sistema dell’offerta formativa risultato dal taglio e dalla semplificazione dei percorsi dovrebbe poi essere compensata dalla flessibilità concernente i curricoli, che può raggiungere la quota del 20% del monte ore complessivo delle singole discipline, e dall’autonomia accordata agli istituti per articolare in opzioni le aree di indirizzo al fine di “ corrispondere alle esigenze del territorio e ai bisogni formativi espressi dal mondo del lavoro” (potendo modulare fino a un massimo del 30% dell’orario annuale delle lezioni nel secondo biennio fino al 35% del quinto anno).
A prima vista il sistema appare potenzialmente in grado di curvare l’offerta formativa in modo più funzionale alle esigenze delle diverse realtà scolastiche, ma in realtà i vincoli imposti alle scuole per la sua realizzazione a partire dalla riduzione e dalla rigidità degli organici rendono assai complessa la gestione di tale opportunità. La flessibilità dei percorsi poi è una sfida tutta da costruire che impone un dialogo costruttivo con le amministrazioni locali e le forze sociali del territorio. Sfida che la scuola potrà vincere solo con la realizzazione di una reale autonomia scolastica che dia effettiva capacità progettuale alle scuole e alle reti di scuole in sinergia con un sistema delle autonomie locali. Sullo sfondo restano i rischi legati alla carenza di risorse economiche , il fumoso e ambiguo progetto di riordino degli organi collegiali di gestione che tenta di rifuggire da una gestione partecipata e democratica della scuola e la possibile deriva di una aziendalizzazione dei percorsi scolastici. Occorre dunque operare affinché la comunità scolastica sia messa in grado di operare in un contesto culturale e ambientale partecipato e democratico con le necessarie dotazioni economiche e di personale.

In generale possiamo osservare che la gestione delle politiche scolastiche appare in ogni caso viziata dal metodo seguito dal Ministro Gelmini che già di per sé spiega l’impatto negativo che gli interventi di “riforma” hanno avuto e stanno avendo nella scuola e nell’Università.
Questo Governo in generale e in particolare il Ministro dell’Istruzione ritengono di poter governare il Paese con piglio manageriale ignorando le richieste dei lavoratori e dei cittadini e rifuggendo il confronto e il dialogo propri di un contesto democratico.

Anche l’operazione di riscrittura della scuola secondaria di secondo grado è avvenuta con modalità di dubbia regolarità normativa che hanno dato luogo a diversi contenziosi , i quali, aldilà delle controversie giuridiche, hanno evidenziato una gestione verticistica della riforma, calata dall’alto senza un dialogo costruttivo con chi vive e opera nella scuola.

Il punto nodale è che mondo della scuola ha subito le “riforme” Gelmini dapprima nella primaria, poi nella secondaria: i docenti non se ne sentono protagonisti, nessuna attenzione si è posta al loro coinvolgimento , né alla reale valorizzazione del loro ruolo ( che appare sempre più relegato a quello di custodi e garanti dell’ordine e della disciplina anziché a quello di educatori e professionisti della conoscenza), nessuna attenzione alla qualità del lavoro, né al cruciale tema della formazione e della progressione stipendiale e di carriera; le famiglie vivono nella consapevolezza di un offerta formativa, a partire persino dalle dotazioni materiali necessarie per il funzionamento ordinario delle scuole, sempre più precaria in tutti gli ordini di scuola; hanno vissuto l’iscrizione dei propri figli alla prima superiore del presente anno scolastico come un vero e proprio salto nel buio, senza certezze sui percorsi che si sarebbero delineati , sulle materie e sugli orari; iniziano a dubitare della validità dell’offerta della scuola pubblica, in precario equilibrio a causa delle scarse risorse messe in campo e degli oscuri scenari che il sistema socio-economico delinea per i loro figli coi quali la scuola non sembra essere in grado di confrontarsi ; gli studenti percepiscono un restringersi delle opportunità educative e degli spazi di dialogo e colgono, anziché l’impegno condiviso a un profondo rinnovamento del sistema di insegnamento-apprendimento, un irrigidimento delle formalità ( legate ad orari, regolamenti disciplinari e valutazioni numeriche), un appesantimento dell’impegno di studio richiesto, legato a una didattica in realtà sempre più compressa in modelli trasmissivi grazie all’impoverimento dell’offerta che deriva dalla riduzione della quantità e qualità del tempo scuola e delle sue proposte (riduzione delle discipline di studio, delle ore di laboratorio e del personale tecnico necessario alla gestione , rigidità della gestione del personale derivante dalla riduzione degli organici, difficoltà di arricchimento dell’offerta formativa con progetti integrativi per la riduzione delle risorse economiche e umane di cui la scuola può disporre).
E su tutti incombe una drammatica incertezza sul futuro che ci aspetta: ai docenti e a tutto il personale della scuola per lo stato occupazionale costantemente messo in discussione per effetto dei tagli apportati, agli studenti per il delinearsi all’orizzonte di un percorso universitario sempre più costoso e incerto e per una prospettiva lavorativa precaria e sempre meno garantita e, infine, alle famiglie per l’ansia derivante dalla consapevolezza che per la prima volta dal dopoguerra percepiscono un domani in cui probabilmente i figli non godranno di condizioni migliori di vita rispetto ai propri genitori.

Ancora sugli effetti delle razionalizzazioni gelminiane potremmo dire: ad es. sul tema dell’ assistenza ai disabili, che si è cercata di ridurre ( quando chi ha figli disabili o chi opera nella scuola ben sa che ne occorrerebbe anzi il potenziamento) tagliando le ore di sostegno fino a provocare l’intervento della Corte Costituzionale (sent. n.80/2010) a ribadire che «il diritto del disabile all’istruzione si configura come un diritto fondamentale». La Legge Finanziaria per il 2008 era intervenuta mettendo in discussione tale diritto, poiché modificando la precedente normativa escludeva la possibilità di deroghe, rispetto alle dotazioni in organico, nell’assegnazione degli insegnati di sostegno nei casi di alunni con disabilità particolarmente gravi e di fatto nel corso degli ultimi anni si è assistito ad un taglio deciso e generalizzato dei posti di sostegno in tutta Italia.
(La Corte con la sentenza citata ha sottolineato che «il diritto del disabile all’istruzione si configura come un diritto fondamentale» e che, perché possa attuarsi , necessita della predisposizione di idonee misure di integrazione e sostegno e ricorda al Legislatore che la discrezionalità nell’individuazione delle misure necessarie a tutela dei diritti delle persone disabili non può spingersi al punto di comprometterne il raggiungimento)
Il MIUR è stato dunque costretto a integrare le dotazioni organiche per il sostegno, e su questo tema in avvenire dovrà essere mantenuta la vigilanza e l’impegno per una reale integrazione; consapevoli altresì che il fabbisogno di ore di sostegno risulta spesso insufficiente e che, per effetto della riduzione dei bilanci delle amministrazioni locali conseguenza delle politiche governative, risulta sempre più difficile garantire la necessaria offerta complessiva di ausilio rendendo ad es. complesso assicurare gli educatori necessari.

Ancora, potremmo soffermarci sul tema dell’integrazione degli alunni stranieri, il cui numero a livello nazionale si è decuplicato negli ultimi dieci anni e che si attestava secondo i dati MIUR 2008/09 a livello nazionale al 7% della popolazione scolastica, a livello regionale per l’Emilia Romagna al 12, 7% e a livello della provincia di Bologna al 12%, con un trend di crescita che registra, secondo i dati forniti dalla Regione Emilia Romagna nel 2009/10 un innalzamento al 7,5% a livello nazionale e al 12,8% a livello nazionale. Ma nonostante le alte percentuali, che secondo le proiezioni sono destinate a crescere sensibilmente, il Governo non ha previsto un progetto complessivo di inserimento e accompagnamento che garantisca il diritto all’accesso e al successo formativo. L’unica misura normativa pensata in merito dal Ministero è stata quella di introdurre il tetto del 30% di stranieri nelle classi. A garanzia delle possibilità di effettivo inserimento degli alunni non italofoni oppure per arginare i timori di una pericolosa commistione nelle classi a danni degli italiani? La prima osservazione che ci viene spontanea è che parlare di un tetto del 30% di “stranieri” introduce un’idea in sé discriminante, poiché presuppone che tutti gli studenti che non sono cittadini italiani (compresi quei bambini che pur nati e cresciuti in Italia sono stati generati da genitori non italiani, ma che, per effetto di una legge sulla cittadinanza che si ancora al principio conservatore dello ius sanguinis , non sono automaticamente riconosciuti italiani) siano comunque un problema per la classe. Sappiamo invece che le difficoltà riguarderanno solo gli studenti stranieri neoimmigrati per i quali dovrebbe essere previsto un percorso che affianchi l’inserimento nel gruppo dei pari nella classi al necessario sostegno linguistico. Le misure necessarie non sono dunque la circoscrizione degli stranieri bensì la predisposizione di un piano adeguato che preveda innanzitutto la presenza stabile nelle scuole di personale qualificato per l’insegnamento della lingua italiana come lingua seconda , di mediatori linguistici per l’inserimento nella nuova dimensione scolastica e sociale dello studente e della sua famiglia e una dimensione interculturale della didattica.

Il clima che si respira dunque nella scuola è pesante , questa cosiddetta riforma è percepita come una gabbia che rischia di soffocare la vitalità della scuola pubblica se non sapremo spezzare il disegno di depauperamento messo in atto e ridare fiducia alla e nella scuola.
Riformare la scuola è certo necessario di fronte alle nuove sfide della società contemporanea , ma per ridare slancio alla scuola occorre un percorso condiviso che impone di riformulare un patto educativo virtuoso che coinvolga tutti coloro che Vi operano : il personale docente e non docente (professori, educatori, dirigenti, tecnici, collaboratori scolastici, addetti ai servizi amministrativi) di cui bisogna riconoscere e valorizzare l’impegno e le professionalità - gli studenti e le loro famiglie, di cui bisogna saper ascoltare i bisogni formulando un’ offerta congruente; ma anche ridare alla scuola il giusto valore nella comunità territoriale (la scuola deve essere vissuta come una risorsa per la collettività e la collettività, con le sue istituzioni e formazioni sociali deve essere una risorsa per la scuola), per fare questo è necessario ripensare ai modi in cui le risorse possano interagire, a come possano essere messe in campo dalle amministrazioni locali ma anche dalle associazioni del mondo del lavoro e delle professioni, dal mondo universitario e da tutte le istituzioni culturali presenti.
3. L’ impegno del PD per la scuola.
I governi, a seguito della crisi economica globale, nel ridefinire i loro impegni finanziari pongono particolare attenzione all'istruzione, poiché sono consapevoli che l’investimento in istruzione è essenziale se i paesi vogliono sviluppare il loro potenziale di crescita di lungo periodo e rispondere ai cambiamenti tecnologici e demografici che stanno ridisegnando i mercati del lavoro.
La Commissione europea ha lanciato la strategia Europa 2020 per uscire dalla crisi e preparare l'economia dell'UE per il prossimo decennio indicando tre priorità chiave crescita intelligente, crescita sostenibile crescita inclusiva e cinque obiettivi di massima : il 75% delle persone di età compresa tra 20 e 64 anni deve avere un lavoro; il 3% del PIL dell'UE deve essere investito in ricerca e sviluppo; i traguardi in materia di clima/energia devono essere raggiunti (compreso un incremento del 30% della riduzione delle emissioni se le condizioni lo permettono); il tasso di abbandono scolastico deve essere inferiore al 10% e almeno il 40% dei giovani deve essere laureato; 20 milioni di persone in meno devono essere a rischio di povertà.
Il divario che l’Italia deve colmare per raggiungere questi obiettivi e in particolare quelli afferenti all’istruzione appare assai ampio se facciamo riferimento allo stato economico-sociale fotografato dai rilievi statistici.
Il Rapporto Ocse 2010 sull’educazione boccia l’Italia e conferma che nel nostro paese si spende poco (il 4,5% del PIL contro una media del 5,7% dei paesi più industrializzati e si ritrova, seconda solo alla Slovacchia, agli ultimi posti per Pil destinato all'istruzione) e male per l’istruzione e i dati forniti dall’Ocse sono ancora più preoccupanti perché riferiti al 2008, anno in cui i tagli Tremonti-Gelmini erano stati attuati solo in piccola parte.
Il rapporto annuale sulla situazione del Paese nel 2009 presentato dall’ISTAT nel maggio scorso fotografa le più palesi carenze del sistema educativo a livello nazionale: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 che non risultano né a scuola né al lavoro e quindi potenzialmente emarginati , con una grave perdita di capitale umano per tutta la società, nel loro numero risultano in aumento i ragazzi del centro-nord nonché diplomati e laureati che non riescono a inserirsi nel mondo del lavoro o ex occupati; emergono rilievi critici sui livelli di istruzione degli italiani fra i 15 e i 64 anni ( 36,6% possiede solo la licenza media, 12,8 % possiede un diploma, meno del 13% è laureato) , viene fotografata una transizione lenta verso livelli più elevati di formazione che porta ad un tasso di scolarizzazione superiore nella fascia di popolazione 20/24 anni pari al 75, 8%, ma comunque risulta inferiore alla media europea e agli obiettivi di Lisbona 2010 che la fissavano all’85% e che sconta differenziali significativi a scapito del Sud; il tasso di dispersione scolastica nella fascia 18/24 anni risulta mediamente del 19,2% (nove punti sopra il tetto fissato dagli obiettivi di Lisbona 2010); 12,2% lasciano la scuola durante il primo anno delle superiori e ben il 14% nel Mezzogiorno, e nel secondo anno risultano abbandonare un altro 3,4%. Anche i dati relativi alla qualità dell’istruzione non sono confortanti poiché dai rilievi OCSE PISA, seppure con qualche miglioramento nelle ultime rilevazioni, risultano in genere dati medi sulla situazione italiana che evidenziano conoscenze e competenze inferiore alla media OCSE, emergono inoltre differenziali territoriali molto elevati , con risultati particolarmente negativi al Sud e significative differenze fra i diversi tipi di scuola frequentati, per cui le prestazioni degli studenti dei tecnici e soprattutto dei professionali appaiono di gran lunga inferiori a quelli dei liceali. In considerazione dei rilievi effettuati sul campione dei quindicenni, che hanno quindi appena intrapreso il percorso superiore, emerge un meccanismo di autoselezione che orienta i giovani precocemente in base alle valutazioni pregresse e un sistema di organizzazione scolastica che suddivide fra scuole di serie A, B e C, anziché promuovere diverse abilità e competenze in un quadro armonico dei saperi necessari per la crescita della società.
Il Governo, anziché contrastare questo stato di cose ed elaborare adeguate politiche che sostengano i giovani nel loro percorso formativo e occupazionale aggrava la situazione con una politica miope che non sa guardare al futuro, investire sul capitale umano delle giovani generazioni ma agisce solo attraverso tagli feroci e compressione dei diritti mettendo in ginocchio l’intero sistema scolastico, universitario e della ricerca.
La riduzione del budget del MIUR procede inarrestabile anche nel presente anno scolastico, non solo risultano confermati i tagli già programmati da precedenti interventi legislativi come il Piano Programmatico Gelmini (L. 133/2008) e la manovra Tremonti (L. 122/2010), ma in base alla legge di stabilità approvata il 10 dicembre scorso il budget scende per il 2011 di oltre l’8% rispetto al 2010 e il trend negativo si conferma anche per il biennio successivo, fino a giungere per il 2013 ad una riduzione dell’11,93%

Il MIUR già aveva pubblicato i dati strutturali relativi all’anno 2009/10 dai quali emergevano i primi interventi di “razionalizzazione” determinati dall’applicazione della l. n.133/2008, che ci parlano di una rilevante contrazione nella consistenza della rete scolastica, sia in termini di scuole funzionanti che di classi attivate, a fronte di un incremento della popolazione scolastica, che è ha registrato dal 2008/09 al 2009/2010 una variazione positiva di 36.640 unità. A tale aumento hanno corrisposto un decremento di docenti con contratto a tempo indeterminato o determinato annuale (701.646 con una flessione di 23.527 unità) e con contratto a tempo determinato fino al termine delle attività didattiche (93.696 pari a meno 16.857 unità) e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario con contratto a tempo indeterminato e determinato (231.118 unità complessive con meno 14.157 unità).
Nel presente anno scolastico, secondo anno di tagli, i numeri del MIUR sull'organico di fatto confermano che il funzionamento dello stesso sistema risulta sempre più incerto. A fronte di un aumento tendenziale del numero degli alunni di oltre 14.000 unità, compresi gli alunni disabili, corrisponde una diminuzione del numero delle classi (-3318), con l'evidente conseguenza dell'aumento degli alunni per classe anche oltre il numero consentito dagli stessi regolamenti. Sul lato del personale poi la manovra di riduzione si conferma sempre più insostenibile, infatti il Ministero ha dovuto autorizzare circa 8.000 posti in deroga, tra docenti e ATA, non riuscendo a tagliare quanto previsto per l'anno scolastico 2010/2011. Risulta dunque evidente che il sistema è ridotto ai minimi termini e che effettuare la terza tranche di tagli previsti, di ulteriori 34.000 posti nell’anno scolastico nell'anno scolastico 2011/2012 significherebbe paralizzare la scuola.
La stessa presentazione dei dati Ministeriali evidenzia dunque un quadro dove, contrariamente a quanto propagandato dalla Gelmini, non risulta sovrabbondanza di personale, ma necessità di un aumento delle dotazioni per rispondere al trend di crescita degli studenti e alle necessità di funzionamento normale delle scuole.
Una recente analisi della FLC CGIL dimostra che la scuola necessita di maggiori risorse umane e che la stabilizzazione del precariato non solo è possibile, ma persino meno onerosa per lo Stato. Secondo la CGIL infatti nel 2011/2012, malgrado i tagli previsti, sarebbero realizzabili 100.000 assunzioni a tempo indeterminato (61.000 docenti e 39.000 ATA) e qualora non si effettuassero i tagli della terza trance le assunzioni potrebbero arrivare fino ad oltre 130.000. Tale operazione, secondo le proiezioni della CGIL non sarebbero incompatibile con le esigenze di risparmio, ma anzi, al contrario, proprio l’assunzione del personale precario sarebbe in grado di determinare una riduzione dei costi (vedi “operazione centomila” nel sito di FLC CGIL).
Lo stato del sistema formativo italiano necessita dunque di cambiamenti radicalmente alternativi rispetto ai provvedimenti adottati dal governo e la necessità si fa’ ogni giorno più urgente, poiché recuperare il terreno perduto sarà sempre più gravoso sia per la tenuta economica del Paese che per la sua coesione sociale.
Occorre spazzare via con urgenza questo Governo e riprendere le redini del Paese e il PD deve mettere al centro del suo disegno politico la scuola, come fulcro di un sistema di relazioni su cui si costruisce l’identità dei singoli e della collettività e il futuro socioeconomico dello Stato. Il processo educativo e formativo dei giovani è elemento nodale per determinare quale modello di cittadinanza vogliamo costruire: soggetti attivi, critici e responsabili oppure soggetti passivi , acritici e manipolabili ? E quale modello economico indicare per il futuro del Paese : un tessuto produttivo dinamico teso alla valorizzazione dei saperi, capace di mobilitare tutte le risorse e riconoscerne il giusto valore , di produrre ricerca e innovazione per sostenere una crescita sostenibile nel futuro, oppure un modello produttivo predatorio di ricchezza che disprezza i saperi e i diritti dei lavoratori e che preferisce un rapido accumularsi di capitali a vantaggio di pochi ?
Dobbiamo quindi non solo difendere gli elementi qualificanti del nostro modello di istruzione, così come delineato a partire dai principi costituzionali e dall’elaborazione pedagogica che ha distinto la scuola italiana, difendere il diritto universale all’istruzione passando da una scuola per tutti a una scuola di qualità per tutti, rendere il sistema scolastico italiano più efficace e più equo guidando i cambiamenti necessari per vincere le sfide che le grandi trasformazioni economico sociali ci impongono.
Crediamo quindi che il PD possa e debba essere protagonista di questo rinnovato impegno facendosi promotore di un nuovo progetto ideale e politico sulla scuola che sappia ridare fiducia e respiro alla comunità scolastiche e a tutta la collettività a partire dalle linee tracciate all’Assemblea Nazionale di Varese l’8-9 ottobre 2010 alle quali qui di seguito mi richiamerò esplicitamente.
a) Riprendere e sviluppare le nostre migliori esperienze perché si possa garantire l’accesso alla scuola dell’infanzia in tutto il Paese e delineare un percorso educativo di scuola di qualità da 0 a 6 anni. Siamo infatti consapevoli che il futuro dei nostri bambini si determina già dalle opportunità educative che potranno cogliere fin dai primissimi mesi di vita e quindi occorre garantirne i diritti educativi assicurando a tutti la possibilità di accedere alla scuola dell’infanzia e ancor prima all’asilo nido, inteso non più come servizio a domanda individuale ma come diritto educativo parte di un medesimo percorso, seppure organizzato in forme idonee e peculiari.
b) Recuperare un modello di qualità nella didattica della scuola primaria che faccia tesoro di quelle forme organizzative che possano garantire migliori livelli di apprendimento come il tempo pieno e il modulo a 30 ore con le compresenze
c) Procedere nell’innovazione del nostro sistema di istruzione procedendo nella piena realizzazione all’autonomia scolastica e connettendo scuole e reti di scuole col sistema delle autonomie locali. Solo costruendo una rete delle autonomie sarà possibile infatti sconfiggere la dispersione scolastica, qualificare e aggiornare l’offerta formativa, limitare gli effetti delle differenze sociali e rispondere alle domande delle comunità locali. La scuola potrà così divenire un luogo aperto al territorio, risorsa per la sua comunità e la scuola potrà più pienamente fruire delle opportunità che il territorio fornisce. Le sperimentazioni e le buone pratiche dirette a sostenere l’attività didattica potranno essere valorizzate in una proficua collaborazione scuola e autonomie locali. Occorre dunque procedere alla piena attuazione del Titolo V della Costituzione garantendo unitarietà dell’ordinamento dell’istruzione e specificità territoriali, definendo i livelli essenziali di apprendimenti e di competenze necessari per garantire l’unitarietà del sistema e determinarne le necessarie risorse.

d) Dare risorse certe alla scuola perché possa sviluppare il proprio progetto formativo. La scuola deve poter contare su dotazioni finanziarie e di personale certe per programmare la propria offerta. Deve pertanto essere semplificato l’iter di assegnazione dei fondi, garantita la puntualità dell’erogazione e seguita la tempistica dell’anno scolastico per rendere più funzionale e trasparente la gestione. Deve essere garantito un personale stabile e congruo ai bisogni della scuola e pertanto occorre superare la distinzione fra organico di diritto e di fatto costruendo un organico idoneo a garantire la continuità e la qualità dell’insegnamento: va quindi ripreso il concetto di organico funzionale prevedendo un contingente di personale che copra le diverse e sempre più articolate esigenze delle scuole, anche eventualmente in rete. Non solo dunque per le supplenze brevi del personale, ma anche per le particolari esigenze didattiche legate alla presenza di bisogni particolari (disabilità, disagio, insegnamento dell’italiano L2 per gli stranieri neoimmigrati , progettualità a sostegno della didattica, tutoraggio degli alunni e dei colleghi neoassunti, recupero e sostegno all’apprendimento) consentendo così alle scuole di avere una reale autonomia nell’organizzazione della propria offerta formativa e di agire nell’ottica del superamento del precariato .
e) Affrontare il tema della valutazione per procedere nell’innovazione della didattica, per difendere la qualità della scuola pubblica e ottenere il riconoscimento della qualità professionale del lavoro che vi viene svolto. La valutazione potrà essere interna al sistema (autovalutazione connessa al monitoraggio degli esiti della propria offerta), e esterna (purché vengano individuate e discusse modalità condivise di valutazione, con la garanzia dell’indipendenza dell’organo di valutazione e della trasparenza delle procedure). Scopo della valutazione dovrà essere la promozione e io miglioramento del sistema e non un mero meccanismo punitivo/premiale. Dovrà essere calibrata su diversi livelli testando l’intero sistema scolastico, le scuole, i dirigenti e i docenti in un ottica cooperativa e non conflittuale.
f) Definire il tema della formazione e del reclutamento degli insegnanti. Deve essere prevista una formazione in servizio obbligatoria e certificata che valorizzi il ruolo di professionisti della conoscenza proprio dei docenti. Si dovrà affrontare il tema della carriera dei docenti garantendo una progressione che riconosca le esperienze maturate e preveda una diversificazione delle figure professionali , necessarie per la complessa sfida educativa che la scuola oggi deve affrontare e per la peculiarità organizzativa che il sistema delle autonomie scolastiche impone. Il sistema deve prevedere forme di reclutamento per pubblico concorso, regolarmente banditi, che garantiscano parità di accesso a tutti i cittadini in tutto il territorio dello Stato e che prendano in considerazione le esperienze positive maturate nell’ambito delle SSIS . Si dovrà infine garantire una stabilizzazione del personale per almeno un triennio per dare garanzia di continuità educativa e progettuale alle scuole.
g) Riflettere e operare sulle criticità del sistema per combattere la dispersione scolastica. Gli obiettivi europei 2020 che ci impongono di dimezzare la dispersione scolastica pongono questo tema al centro della nostra riflessione facendoci interrogare su quali metodologie e strategie opportune la scuola debba mettere in campo. Contrariamente dunque a quanto il Ministro Gelmini sembra sostenere l’aumento delle bocciature non è indice di una maggiore qualità della scuola, se al rigore nel pretendere il raggiungimento degli obiettivi minimi non si accompagna l’analisi della congruenza fra questi e le modalità di insegnamento- apprendimento messe in campo. Le analisi dei dati scolastici e l’esperienza ci dimostrano che il momento di maggiore criticità si situa fra gli 11 e i 16 anni, in quella delicata fase della vita che segna l’ingresso nell’adolescenza . Il tasso più alto di dispersione scolastica si registra al primo anno dell’istruzione secondaria di secondo grado con un valore medio attorno al 13%, specie agli istituti tecnici e professionali dove raggiunge punte del 30%. Appare necessario appare dunque promuovere progetti in continuità fra primo e secondo grado della scuola superiore per elaborare strategie che partendo dal confronto sulle metodologie didattiche e sul raffronto di obiettivi in uscita e in entrata consenta ai due segmenti di scuola di dialogare ed elaborare strategie dirette ad accompagnare gli studenti nel passaggio. Il biennio superiore deve acquisire pienamente la sua funzione orientativa, partendo dall’esigenza nel primo anno del recupero e del potenziamento delle competenze di base e poi di eventuali azioni di ri-orientamento. La lotta alla dispersione scolastica non può però prescindere dalla effettiva attribuzione di pari dignità dei percorsi scolastici e dalla piena equivalenza formativa dei bienni. In questo senso dunque un percorso biennale che valutasse in uscita le competenze riferite ai quattro assi culturali consentirebbe di rendere più agevole il passaggio fra i diversi indirizzi.
h) Qualificare il sistema di istruzione e formazione professionale e valorizzare il rapporto scuola/lavoro. Il settore professionale deve assurgere a pari dignità con quello tecnico e liceale, in quanto segmento fondamentale che più direttamente raccorda mondo della scuola e mondo del lavoro. Occorre ridare dignità alle competenze specifiche di questo tipo di percorso, valorizzando le abilità e le attitudini di studenti che anche se non trovano realizzazione in altri percorsi, sono parimenti importanti per il tessuto culturale, economico e produttivo del Paese. Per il rilancio del sistema occorre mettere in sinergia il sistema dell’istruzione, di competenza dello Stato, il sistema della formazione professionale, di competenza delle Regioni , nonché le risorse e le competenze di Stato, Regioni e Enti locali, forze sociali, associazioni imprenditoriali, categoria e sindacali che costituiscono il tessuto produttivo e possono contribuire allo sviluppo e al lavoro.
Altri snodi fondamentali del sistema formativo che devono essere sviluppati per garantire un potenziamento delle competenze spendibili nel mercato del lavoro e una risposta e sollecitazione all’innovazione che le nostre imprese possono esprimere sono i percorsi post-secondari di Istruzione e Formazione Tecnica e Superiore. Ulteriori risorse devono poi essere messe in campo per l’educazione degli adulti in quanto la formazione permanente è basilare per un sistema socioeconomico dove la conoscenza diviene capitale risorsa per tutta la vita.
i) Investire nell’edilizia scolastica
Condividiamo e sosteniamo l’esigenza di lanciare un piano straordinario per la manutenzione, la messa in sicurezza degli edifici scolastici e l’edificazione di nuove scuole. Tali investimenti consentirebbero non solo di rispondere a garantire la normale funzionalità delle scuole e la messa in sicurezza di edifici spesso obsoleti, ma potrebbero essere occasione per promuovere un risparmio energetico connesso alle strutture scolastiche che oltre a dare un vantaggio economico può attivare un processo educativo ambientale virtuoso nelle giovani generazione. Inoltre un nuovo piano edilizio può affiancare e sostenere il necessario processo di innovazione didattica che richiede spazi e attrezzature diverse da quelle tradizionalmente esistenti che rimandano a una didattica frontale e a relazioni gerarchiche di tipo ottocentesco. Progettare una nuova scuola significa anche ripensare gli spazi di vita della comunità, della città, della rete dei trasporti e delle infrastrutture, degli spazi destinati alla cultura e allo svago. Ripensare dunque la vita di una comunità che si aggrega attorno alla casa di tutti che può essere la scuola: luogo aperto e polifunzionale.
.

4. I problemi della scuola a livello locale e l’impegno del PD per il rilancio delle politiche educative e di istruzione.
La politica di tagli diretti e indiretti praticata da governo Berlusconi al sistema scolastico e culturale del Paese ha effetti devastanti a livello locale rischiando di compromettere gli assetti e gli equilibri delle comunità sotto il profilo sociale ed economico. Lo sconcerto della collettività è accentuato proprio in quelle Regioni che hanno maggiormente investito nello sviluppo dell’offerta dei servizi scolastici come l’Emilia Romagna, poiché le difficoltà di gestione dei bilanci mettono in discussione quei modelli sociali che hanno fatto della qualità dei percorsi educativi e di istruzione un elemento irrinunciabile della propria identità comunitaria che ha reso possibile una maggiore integrazione sociale, favorito lo sviluppo economico e la conciliazione delle esigenze di cura familiare con quelle lavorative, consentendo di sostenere l’occupazione soprattutto femminile.
Le amministrazioni locali della nostra Regione hanno scelto fin dal dopoguerra di impegnarsi nel sostenere e sviluppare il diritto all’istruzione consapevoli del ruolo strategico da questo svolto per la comunità: nei nostri territori vi è una nobile tradizione di ricerca e pratica pedagogica, di attenzione alla formazione dei propri operatori e di collaborazione fra le diverse istituzioni. Tutto questo ha reso possibile creare un capillare sistema formativo caratterizzato da alcuni elementi chiave, come una forte offerta di tempo pieno e comunque di forme organizzative che pongono al centro della proposta educativa un progetto didattico di qualità, integrato anche da una serie di offerte complementari e di sostegno alla didattica e di prevenzione del disagio sociale.
Ma le ultime manovre finanziarie hanno reso estremamente difficile difendere l’attuale assetto di servizi scolastici e sociali, in particolare si è calcolato che con la manovra finanziaria 2011-2012 il Governo ha prodotto un taglio dei trasferimenti a Regioni ed Enti Locali che si risolveranno nel mancato ritorno di 200 euro pro-capite di tasse tolti a tutti i cittadini emiliano - romagnoli. Ciò determinerà un mancato trasferimento di 1 miliardo di euro di trasferimenti dallo Stato nei prossimi due anni a Regione (750 milioni) ed Enti Locali (250 milioni).
La stesura dei bilanci non potrà dunque ignorare questa realtà e il rischio di rincari tariffari e riduzione dei servizi pubblici si fanno sempre più concreti. Ne consegue che la scuola, già in grave difficoltà, viene penalizzata ulteriormente anche sul piano degli interventi educativi degli enti locali.
Ci dobbiamo dunque interrogare su come traghettare le nostre comunità in questa congiuntura negativa senza disperdere il patrimonio di buone pratiche maturato negli anni, contenendo al minimo gli inevitabili contraccolpi all’offerta di servizi e garantendo comunque una gestione che sostenga i più deboli e non comprometta il nostro futuro. La nostra comunità è consapevole e orgogliosa del valore della propria scuola e si aspetta di essere chiamata a raccolta per sostenerne lo sviluppo. Occorre recuperare dunque un disegno politico alto e un confronto serio per trovare strade percorribili e condivise anche nelle difficoltà. Il PD come forza di governo ci auguriamo possa presto essere protagonista, sia a livello locale che a livello nazionale, di questo rinnovato progetto per la scuola e il Paese. Ma per essere vincente deve saper accogliere e interpretare le richieste forti e giuste che vengono da tutti i docenti, avviliti nella loro professionalità e in particolare anche di quelli precari, ingiustificatamente espulsi ed emarginati; dalle famiglie, che in modo tenace da un lato alzano il loro grido di protesta e dall’altro rimboccandosi le maniche si mettono al servizio delle scuole perché i loro figli non perdano ciò che hanno il diritto di avere; dei giovani e degli studenti che riscoprono la passione politica e giustamente richiedono di essere al centro delle politiche del nostro Paese e che, se ignoreremo, rischiano di scivolare verso una deriva culturale ed economica pericolosa per l’intera società.
Dobbiamo rispondere a questa immane sfida raccogliendo le nostre idee migliori, ripensando l’organizzazione di scuola e servizi con la volontà non solo di difendere quello che è possibile, ma di realizzare ciò che vogliamo! Dobbiamo ritrovare una “febbre del fare” che rilanci la scuola valorizzando al massimo tutte le energie che le nostre comunità possono esprimere anche in campo sociale (dal mondo dell’associazionismo a quello delle imprese) garantendo una progettualità e una linea gestionale che faccia capo alle istituzioni pubbliche che rappresentano le nostre collettività.
Il Commissario Cancellieri ha presentato un bilancio per il 2011 estremamente duro che deve fare i conti con un taglio drammatico di risorse di quasi 50 milioni di euro rispetto al 2010. Chi amministrerà Bologna nel prossimo futuro dovrà da lì ripartire operando scelte politiche difficili ma che non possono prescindere dagli elementi sopra delineati.
A dicembre sono state pubblicate dal Dipartimento programmazione e controlli del comune di Bologna le ultime proiezioni sul futuro demografico di Bologna e provincia che ci definiscono il quadro in cui ci si dovrà muovere. A partire dall’andamento della popolazione per grandi classi di età ci può fare una idea di quali saranno i bisogni della popolazione bolognese.
Dai dati risulta che l’unica classe di età nettamente in diminuzione nei prossimi vent’anni è quella che va dai 30 ai 44 anni, tutte le altre risultano in aumento con un andamento più marcato per la fascia 15-29, 45-64 e gli ultraottantenni. La popolazione in fascia 0-14 anni attualmente di circa 125.000 unità è destinata ad aumentare fino al 2015 di altre 8.400 unità (+6,7%).
Scomponendo i dati della popolazione in età scolare per classi di età possiamo osservare quanto segue.
La popolazione 0-2 anni e 3-5, potenziale utente dei nidi e della scuola dell’infanzia è in leggera crescita per il Comune di Bologna.
I NIDI - Evoluzione della popolazione in età 0-2 anni – utenza nidi

Ma i dati e le poiezioni resi noti dal Comune di Bologna evidenziano problemi seri, attuali e futuri, nell’evoluzione dei servizi rivolti alla prima infanzia. La popolazione da 0 a 2 anni è prevista in crescita, a Bologna, nell’arco del prossimo mandato amministrativo (+1,4%). Nel 2011 (anno scolastico 2010/2011) le domande presentate rappresentano il 47% dell’utenza potenziale ed è un indicatore stabile nel tempo; la copertura della domanda (rapporto tra posti nido e domande presentate) è in calo rispetto a quanto raggiunto negli anni precedenti, e si attesta al 76%, con liste di attesa già molto significative. Nell’ipotesi di mantenimento dell’attuale copertura della domanda e dell’incidenza di domande presentate sul totale della popolazione, nel mandato amministrativo che abbiamo di fronte sarà necessario un ulteriore aumento dei posti rispetto al 2011, anche solo per mantenere lo status quo e, ipotizzando invece una copertura della domanda che torni ai livelli del 2009 (80%) i posti in più dovrebbero essere 226, con un incremento del 7% rispetto ai posti del 2011.
Anche nei Comuni della Provincia, se pure risulta sostanzialmente stabile il trend demografico, le variazioni della domanda, in crescita, delineano un quadro di necessità di aumento dell’offerta.
Per i nidi emerge dunque l’esigenza di potenziare l’offerta sia per far fronte all’incremento demografico che per ampliarne comunque l’accesso e abbattere la lista d’attesa.
La necessità di incremento di posti scuola riguarda poi in particolare la scuola secondaria di primo e secondo grado, poiché corrispondono alle classi di età dove si prevede un più marcato incremento demografico; con più lievi variazioni appaiono invece le classi di età 3-5 e 6-10 corrispondenti al segmento della scuola dell’infanzia e della scuola primaria, per le quali si segnala a livello provinciale,sia nel medio che nel lungo periodo, dapprima un aumento e successivamente un ridimensionamento.
Nel complesso comunque si conferma l’incremento degli alunni iscritti nel sistema dell’istruzione bolognese, come risulta anche dagli ultimi rilievi ufficiali del MIUR.

Ai bisogni in crescita presenti e futuri espressi dal mondo della scuola nella nostra realtà sappiamo che il Ministero ha risposto con una contrazione delle risorse messe in campo.
Nel presente anno scolastico 2010/11 l’organico di diritto della scuola ha registrato una diminuzione di 231 insegnanti (48 alla primaria, 58 alle medie, 125 alle superiori) e di 148 posti ATA (113 collaboratori scolastici, 27 assistenti amministrativi e 8 assistenti tecnici), mentre la popolazione scolastica registrava un incremento di 25.251.
Nonostante qualche aggiustamento operato con gli organici di fatto non è stato possibile rispondere a tutte le richieste delle famiglie, nella scuola primaria ad es. escludendo 1.500 bambini dal tempo pieno e facendo mancare i necessari insegnanti di inglese, alla secondaria di primo grado tagliando 18 classi e riducendo il tempo prolungato; in tutti gli ordini di scuola le classi sono affollate mettendo a rischio l’apprendimento e la sicurezza, nella nostra Regione e Provincia vi è l’indice di ragazzi per classe più alto rispetto alle altre Regioni e Bologna presenta il più alto rapporto alunni disabili/docenti d’Italia; ovunque il carico di lavoro dei docenti si è aggravato. Regione ed enti locali hanno messo in campo risorse aggiuntive per integrare l’offerta, ma ciononostante l’intero sistema è e sempre più sarà in sofferenza per i tagli governativi messi in atto, come l’ultimo bilancio del Comune di Bologna rende evidente.
Risulta di tutta evidenza che la costruzione di un sistema scolastico deve giocarsi sul territorio, adeguando la risposta ai bisogni che la collettività esprime, e che serve sempre più una forte azione congiunta di tutto il sistema territoriale bolognese – scuole, Provincia, Comuni, Stato, forze politiche.
Partendo dalle elaborazioni condivise nel Forum Scuola del Pd bolognese e nel Circolo degli insegnanti delineiamo quindi alcuni punti prioritari.
A. Rete delle autonomie. Tutte le questioni ci rimandano in qualche modo a un punto cruciale: la sfida educativa può essere affrontata e vinta solo sviluppando una rete di soggetti in grado di governare le complessità della scuola. Fondamentale dunque è la creazione di una rete delle autonomie (autonomie scolastiche e autonomie locali devono dialogare e co-progettare). Riteniamo anche che la dimensione della Città Metropolitana possa dare un valore aggiunto alla offerta di servizi educativi del nostro territorio consentendo una più armonica progettazione e integrazioni degli interventi e una ottimizzazione delle risorse da mettere in campo.

B. Occorre ribadire la centralità della scuola e della educazione fin dalla prima infanzia, in un percorso che va da 0 a 6 anni e in cui il nido non è servizio a domanda individuale ma diritto fondamentale del bambino, importante fase di accesso ad un percorso educativo complessivo.
Questa dimensione dell’offerta educativa è una nota distintiva per la nostra collettività e le famiglie fanno affidamento su questa fondamentale risorsa. Se da un lato occorre trovare una risposta alle maggiori richieste delle famiglie, d’altra parte occorre che il Comune mantenga saldamente l’obiettivo della qualità, sia nelle realtà che gestisce direttamente, che sono un patrimonio importante della storia e del presente della comunità bolognese, sia nell’intero sistema dell’offerta, che va arricchito e sempre più integrato.
E’ necessario un progetto, per un sistema educativo che contemperi la quantità dei posti disponibili con la qualità dell’offerta. Non possiamo permettere che i tagli governativi attacchino i nidi nella dimensione che a Bologna hanno consolidato , né che vengano penalizzate ulteriormente le famiglie già duramente colpite dalla recessione economica, e soprattutto non possiamo non garantire un valido livello di qualità. E’ necessario aprire un confronto politico e tecnico che ridisegni un piano di sviluppo che, pur proseguendo il processo di apertura a forme diverse di gestione ed anche di tipologia di servizio e modalità organizzative, rispetto a quelle tradizionali, che tengano conto di tempi di lavoro molto diversificati e delle difficoltà di nuclei famigliari spesso monogenitoriali, non potrà prescindere da alcune garanzie a presidio della qualità. Poiché i nidi non sono un servizio alla persona, ma rispondono innanzitutto a un bisogno educativo che si sostanzia in un diritto del bambino, l’attenzione alle modalità di gestione deve essere connessa al ruolo pubblico che i medesimi svolgono.
A garantire questo obiettivo è rivolta la proposta di dar vita nel Comune di Bologna, ed in prospettiva in una dimensione metropolitana, come già avviene in altre città emiliane, a una Istituzione che garantisca un governo e un sistema integrato di servizi e scuole a guida pubblica, dove pubblico e privato sociale entrino in virtuosa sinergia, sotto una forte direzione pedagogica e all’interno di una più generale programmazione.
A questa Istituzione potrebbero essere affidati un’intera gamma di interventi educativi e pedagogico - culturali del Comune di Bologna (dai nidi alle scuole dell’infanzia, servizi integrativi, aule didattiche decentrate, CD-LEI) e potrebbe organizzarsi al suo interno una direzione pedagogica capace di garantire la valenza educativa e l’unitarietà degli interventi. Ancora in ordine all’impegno espresso in relazione alla scuola dell’infanzia dal Comune di Bologna, per poter mantenere, a fronte dei tagli agli enti locali praticati dal governo nazionale, una risposta adeguata alla domanda di scuola dell’infanzia è necessario che venga riconosciuto alla città il suo straordinario investimento (oltre 10 milioni di euro), considerato che la copertura dello Stato è solo del 18% a fronte di una meda nazionale del 61%. Si dovrà dunque insistere perché in un qualche modo tale differenziale sia compensato con un adeguato riconoscimento economico (ad es. con un intervento finanziario aggiuntivo rispetto ai contributi del MIUR per le scuole dell’infanzia paritarie oppure con un analogo intervento nell’ambito dei Lep territoriali relativi agli standard di servizio della scuola dell’infanzia correlati alla definizione dei trasferimenti statali per l’attuazione del federalismo).
C. Occorre sostenere la richiesta, maggioritaria nel nostro territorio, di una scuola a tempo lungo, dove l’esperienza del tempo pieno, della progettazione educativa e dello sviluppo in team della didattica attraverso le compresenze, la valorizzazione delle aule didattiche decentrate, l’incontro fra scuola e dimensione culturale del territorio contribuiscono in modo determinante alla realizzazione di percorsi educativi e di istruzione di alto livello sociale e culturale.
D. Garantire una particolare attenzione agli elementi di criticità del sistema scolastico quali la lotta alla dispersione scolastica , la prevenzione del disagio e l’inserimento degli alunni disabili e degli alunni stranieri. Tutti elementi sui quali ci siamo già soffermati nelle considerazioni più generali e rispetto ai quali qui si riprendono solo alcune considerazioni.
In considerazione anche del previsto incremento a Bologna di giovani in fascia adolescenziale, tappa critica della vita dove più forti emergono i problemi di fallimento e abbandono scolastico e di disagio, legato a difficili situazioni socio-familiari, comportamenti a rischio e border line, ritengo che gli enti locali debbano continuare a giocare un ruolo forte di sostegno e accompagnamento alla scuola all’interno di un disegno complessivo di politiche giovanili. Anzi, ritengo ci sia spazio per una migliore gestione delle risorse, in progetti sempre più condivisi idonei a contrastare le criticità individuate. Credo poi che il Comune possa e debba giocare un ruolo più forte nell’offrire spazi associativi e ricreativi, opportunità culturali alla popolazione giovanile.
Bologna deve ritrovare un dialogo coi propri giovani e saper essere non solo una città a misura di bambino, ma anche una città a misura di giovani cittadini.
In ordine ai giovani stranieri i dati dell’Osservatorio sulla scolarità del servizio scuola e formazione della provincia di Bologna a. s. 2009-2010, ci indicano che sono 13,8% alla scuola primaria, 14,0% alla scuola secondaria di primo grado e 9,1% alla scuola secondaria di secondo grado; ci indicano che gli studenti stranieri di seconda generazione sono in aumento e sono il 54% alla primaria di cui ben il 68% al primo anno; che la distribuzione sul territorio della provincia è differenziata con una più forte concentrazione a Porretta (19,4%), poi a Bologna (14,8%) e nella pianura ovest (13,9%); eterogenee sono anche le aree di provenienza e soprattutto assume rilevanza la diversa incidenza nelle macro-aree di istruzione, la scelta si orienta per l’80% verso i professionali e i tecnici; i percorsi e gli esiti scolastici appaiono molto più accidentati di quelli degli italiani, la percentuale di studenti bocciati fra gli stranieri è quasi il triplo che fra gli italiani e solo il 35% è in regola coi tempi del percorso; un progressivo aumento di rilevanza del canale della formazione professionale, dove si è registrato un incremento del 27% negli ultimi due anni e l’incidenza degli stranieri è pari al 34%., 21% nell’istruzione professionale.
Risulta dunque evidente che una sfida importante nella scuola della nostra provincia dovrà essere giocata proprio su questo fronte per dare a tutti i giovani pari opportunità e costruire una società multiculturale, inclusiva, che sappia investire sugli stranieri come risorsa per il territorio e sappia creare le condizioni per riconoscerne appieno il diritto a essere parte della comunità. Forte è l’impegno degli enti locali su questo fronte ma dovrà essere ulteriormente rafforzato per accompagnare i giovani ad una vera integrazione a partire dalla scuola. La scuola d’altro canto pur sviluppando progetti di inserimento e accompagnamento degli studenti stranieri di buona qualità ancora non può contare su risorse stabili adeguate per mettere a sistema le buone pratiche e senza il sostegno degli enti locali e, per quello che riguarda la secondaria di secondo grado senza la forte progettualità e le cospicue risorse messe in campo dalla Fondazione del Monte di Bologna, non sarebbe stata in grado di sostenere l’inserimento degli stranieri. Vogliamo poi ricordare il ruolo strategico che viene svolto a favore degli stranieri, anche giovani studenti, dai Centri Territoriali Permanenti coi quali le scuole superiori stanno costruendo importanti sinergie per il conseguimento della licenza media.
Anche la lotta alla dispersione deve essere giocata con opportune sinergie per dare maggiori opportunità educative agli studenti, ma anche per creare progetti didattici condivisi che aiutino a trovare nuove strategie di apprendimento (occorre reinventare la didattica passando da un sistema basato sull’insegnamento a uno basato sull’apprendimento) e in questo senso un ruolo fondamentale possono giocare le proposte che mettono in contatto scuola e altre realtà socio-culturali ponendo attenzione a espressioni più creative, a esperienze di apprendimento giocate sul campo e in modo laboratoriale (penso a una maggiore sinergia fra scuola, musei, teatri e cinema, cineteca, associazioni e istituti culturali, Università) che rendano più viva e appassionante la costruzione dei saperi.
E. Sostenere le scuole superiori nel processo di attuazione del riordino dell’offerta. Il disegno della riforma avviato nel presente anno presenta alcune sfide che chiamano in gioco non solo le autonomie scolastiche ma anche le autonomie locali e il mondo del lavoro e dell’associazionismo. Pensiamo ad esempio alla costruzione dei percorsi del quinto anno che obbligano le scuole ad aprirsi ad esperienze di alternanza scuola lavoro che gli enti locali possono sostenere e facilitare e alla necessità di supportare opportunità di formazione e ricerca-azione per i docenti.
F. Investire nell’ istruzione e formazione professionale, nei percorsi post-diploma e nell’educazione degli adulti è urgente per il rilancio dell’innovazione e dello sviluppo economico del nostro territorio. L’impegno della Regione Emilia Romagna nel procedere lungo la strada della difesa dei diritti, a partire dal sostegno ai percorsi formativi come motore di sviluppo e di coesione del tessuto economico e sociale si è concretizzato in un ultimo importante provvedimento che va nel senso auspicato di valorizzazione e rilancio dell’istruzione e formazione professionale. Riteniamo che il nuovo sistema regionale dell’Istruzione e Formazione professionale varato dalla Regione Emilia Romagna sia strategico per riannodare i fili fra scuola e mondo del lavoro e si debba procedere con decisione lungo questa strada per innalzare il livello di istruzione dei nostri giovani e per valorizzare questa area determinante per lo sviluppo economico del nostro tessuto economico. Il percorso delineato ricompone il sistema dell’istruzione professionale con quello della formazione rendendoli complementari e coniuga le esigenze di formazione di base con quelle più professionalizzanti favorendo un maggiore raccordo con le esigenze del mercato del lavoro, imponendo un primo anno dentro il circuito dell’istruzione a garanzia della consapevolezza e gradualità della scelta e rendendo possibili scambi fra i due sistemi. Crediamo che questa sia la strada migliore per combattere l’abbandono scolastico e dare sbocco alle diverse attitudini dei nostri giovani, poiché la maggiore flessibilità del sistema può sostenere e rafforzare proprio quei giovani che appaiono più deboli e incerti nella costruzione delle proprie competenze. Il segmento dell’istruzione e formazione professionale infatti , se opportunamente sostenuto e innovato, può e deve diventare un percorso di pari dignità con gli altri segmenti dell’istruzione ed anzi determinare la scoperta e lo sviluppo dei saperi professionali necessari per il rilancio economico del nostro territorio e per la ripresa occupazionale. In senso analogo si stanno muovendo gli interventi diretti a creare percorsi post diploma che possono essere un’alternativa di qualità alla formazione universitaria strategici per l’economia locale. Tali percorsi crediamo debbano essere implementati e debbono essere raccordati con il decollo del polo scientifico tecnologico e dei nuovi Istituti di istruzione e formazione superiore.
G. Il rilancio della dimensione culturale e la valorizzazione socio-economica del nostro territorio passa anche attraverso un nuovo piano di investimenti nell’edilizia scolastica e una valorizzazione delle strutture e delle attrezzature aldilà dell’orario di lezione. Una nuova modalità di utilizzazione degli spazi della scuola per attività laboratoriali, culturali, sportive o anche solo semplicemente come spazio di socializzazione per gli stessi studenti, le loro famiglie e per la collettività, può e deve essere immaginato e diventare un ulteriore elemento di coesione e sviluppo della nostra comunità. L’esperienza di governo degli enti locali alla quale ci candidiamo dovrà quindi segnare un forte impegno nel portare avanti la pianificazione di strutture scolastiche che rendano sempre di più la scuola una risorsa per la comunità.

I nostri punti richiedono una forte capacità di governo e, nello stesso tempo, una costante iniziativa politica, una presenza diretta e dialogante con i cittadini.
Ridare alla scuola ed ai saperi centralità e dignità è dunque un impegno serio, non di un’occasione soltanto o di una stagione.

Relazione alla Direzione del PD di Bologna, 14 gennaio 2011